Dinghedidinghe
Luca Trevisani
01.09.2012 - 13.09.2012
curated by Maria Chiara Valacchi
Non
c’è niente di assoluto, di determinato, nel lavoro di Luca Trevisani (Verona,
1979. Vive e lavora tra Berlino e Milano) tutto gioca su un equilibrio
instabile, sulla ricerca di cristallizzazione di un’idea. Una volta che il
pensiero sembra definirsi ecco che tutto muta, implode per poi configurarsi in
una nuova cosa. Un flusso continuo, un passaggio di energie che struttura la
materia in una molteplicità di declinazioni. Come un processo mercuriale,
Trevisani prende un elemento per trasmutarlo in altro e diventa evocazione di
un pensiero o il suggerimento di una forma. La scoperta del fenomeno di
traslazione, come suggerisce la filosofia di Jung, che trovò nella sua
psicologia analitica molte affinità con l’alchimia, sembra diventare la
proiezione di contenuti psichici inconsci. La
natura è il punto di partenza, il pretesto effimero e plasmabile per realizzare
mondi interiori in continua metamorfosi. La fisionomia di piante è modificata
nella sostanza ma non nell’estetica, identificabile anche grazie ad elementi
reali che rendono più terreno e vivido questo suo viaggio intimo. Non c’è un
interesse verso la materia, ma verso l’espediente. Foglie di fico d’india,
realizzate con forme di poliuretano espanso, si affastellano su un supporto
longilineo che sembra sorreggerle appena. Il candore di una coltre di vernice
ne riscrive il carattere, illudendo lo sguardo e coprendo l’artificio.
Oggetti sospesi oscillano leggeri a proseguire l’idea cinetica di un processo
costruttivo. Un video mostra immagini trasfigurate, caleidoscopiche macchie
nere infrangono la luce, concrezioni digitali o figurazioni al microscopico che
ruotano perennemente. Sembra lava che ribolle, fluido in continua variazione.
Alla Sicilia Trevisani dedica questa mostra dal titolo DinghediDinghe,
un gioco di parole che ricorda un idioma autoctono, in verità risultato della
ripetizione del vocabolo tedesco del significato cosa. Niente di
definito, niente di immediatamente riconducibile, cose, precipitati culturali
che queste suggeriscono. È Un rebus visivo dalla risoluzione dubbia, complesso
nei significanti, minimale nella soluzione finale.
There is nothing absolute, determined, in the work of Luca Trevisani
(Verona, 1979, he lives and work in Berlin and Milan) everything plays on an
unstable equilibrium, on the search of the crystallization of an idea. Once the
thought seems to be defined everything changes, implodes and sets up a new
thing. A continuous stream, a shift of energies that structures the matter in a
wide range of forms. As a mercurial process, Trevisani takes an item to
transform it into another thing and it becomes an evocation of a thought or a
suggestion of a shape. The discovery of the phenomenon of translation, as
suggested by the Jung’s philosophy, who found in his analytical psychology many
similarities with alchemy, it seems to be the projection of unconscious psychic
contents. Nature is the point of departure, the ephemeral and malleable pretext
to create inner worlds in constant metamorphosis. The physiognomy of plants is
altered in substance but not in appearance, identifiable thanks to real
elements that make his intimate journey terrestrial and vivid. There isn't an
interest in the matter, but in the expedient instead. Leaves of prickly pear,
realized by shapes of expanded polyurethane, pile up on a slender support
which seems to hardly support them. The whiteness of a blanket of paint
redefines the character of them, deceiving the eye and hiding the device.
Hanging objects swing lightly to carry on the kinetic idea of a construction
process. A video shows transfigured images, caledoiscopic black spots break the
light, digital concretions or representations under the microscope that perpetually
rotate. It seems to be bubbling lava, a fluid continually changing. Trevisani
dedicates to Sicily this exhibition entitled Dinghedidinghe, a pun that
reminds of a local idiom, that it is actually the result of repeating the
German word that means thing. Nothing
defined, nothing immediately recognizable, things, cultural concepts suggested
by them. It is a visual rebus with a dubious resolution, complex in its
meanings, minimal in the final solution.
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