venerdì 28 settembre 2012

Luca Trevisani @ Mandranova in Residence, Dinghedidinghe, 2012 - curated by Maria Chiara Valacchi












Dinghedidinghe

Luca Trevisani
01.09.2012 - 13.09.2012
curated by Maria Chiara Valacchi

Non c’è niente di assoluto, di determinato, nel lavoro di Luca Trevisani (Verona, 1979. Vive e lavora tra Berlino e Milano) tutto gioca su un equilibrio instabile, sulla ricerca di cristallizzazione di un’idea. Una volta che il pensiero sembra definirsi ecco che tutto muta, implode per poi configurarsi in una nuova cosa. Un flusso continuo, un passaggio di energie che struttura la materia in una molteplicità di declinazioni. Come un processo mercuriale, Trevisani prende un elemento per trasmutarlo in altro e diventa evocazione di un pensiero o il suggerimento di una forma. La scoperta del fenomeno di traslazione, come suggerisce la filosofia di Jung, che trovò nella sua psicologia analitica molte affinità con l’alchimia, sembra diventare la proiezione di contenuti psichici inconsci. La natura è il punto di partenza, il pretesto effimero e plasmabile per realizzare mondi interiori in continua metamorfosi. La fisionomia di piante è modificata nella sostanza ma non nell’estetica, identificabile anche grazie ad elementi reali che rendono più terreno e vivido questo suo viaggio intimo. Non c’è un interesse verso la materia, ma verso l’espediente. Foglie di fico d’india, realizzate con forme di poliuretano espanso, si affastellano su un supporto longilineo che sembra sorreggerle appena. Il candore di una coltre di vernice  ne riscrive il carattere, illudendo lo sguardo e coprendo l’artificio. Oggetti sospesi oscillano leggeri a proseguire l’idea cinetica di un processo costruttivo. Un video mostra immagini trasfigurate, caleidoscopiche macchie nere infrangono la luce, concrezioni digitali o figurazioni al microscopico che ruotano perennemente. Sembra lava che ribolle, fluido in continua variazione. Alla Sicilia Trevisani dedica questa mostra dal titolo DinghediDinghe, un gioco di parole che ricorda un idioma autoctono, in verità risultato della ripetizione del vocabolo tedesco del significato cosa. Niente di definito, niente di immediatamente riconducibile, cose, precipitati culturali che queste suggeriscono. È Un rebus visivo dalla risoluzione dubbia, complesso nei significanti, minimale nella soluzione finale.

There is nothing absolute, determined, in the work of Luca Trevisani (Verona, 1979, he lives and work in Berlin and Milan) everything plays on an unstable equilibrium, on the search of the crystallization of an idea. Once the thought seems to be defined everything changes, implodes and sets up a new thing. A continuous stream, a shift of energies that structures the matter in a wide range of forms. As a mercurial process, Trevisani takes an item to transform it into another thing and it becomes an evocation of a thought or a suggestion of a shape. The discovery of the phenomenon of translation, as suggested by the Jung’s philosophy, who found in his analytical psychology many similarities with alchemy, it seems to be the projection of unconscious psychic contents. Nature is the point of departure, the ephemeral and malleable pretext to create inner worlds in constant metamorphosis. The physiognomy of plants is altered in substance but not in appearance, identifiable thanks to real elements that make his intimate journey terrestrial and vivid. There isn't an interest in the matter, but in the expedient instead. Leaves of prickly pear, realized by shapes​ of expanded polyurethane, pile up on a slender support which seems to hardly support them. The whiteness of a blanket of paint redefines the character of them, deceiving the eye and hiding the device. Hanging objects swing lightly to carry on the kinetic idea of a construction process. A video shows transfigured images, caledoiscopic black spots break the light, digital concretions or representations under the microscope that perpetually rotate. It seems to be bubbling lava, a fluid continually changing. Trevisani dedicates to Sicily this exhibition entitled Dinghedidinghe, a pun that reminds of a local idiom, that it is actually the result of repeating the German word that means thing. Nothing defined, nothing immediately recognizable, things, cultural concepts suggested by them. It is a visual rebus with a dubious resolution, complex in its meanings, minimal in the final solution.

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